Da romanzo a film: Blade Runner

«Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi.
Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione.
E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser.
E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia.
È tempo di morire.»Roy Baty
Il genere fantascientifico può essere suddiviso in due grandi filoni: quello basato sulla conquista dello spazio, sul contatto con civiltà extraterrestri, sull’ipertecnologia e quello che gioca sul dualismo utopia/distopia. Possiamo dire che Blade Runner ha le caratteristiche di entrambi, perché è ambientato sì in un futuro altamente tecnologico nel quale parte dell’umanità si è trasferita sulla colonia spaziale “Extra Mondo”, ma in contesto di disfacimento della società terrestre.
Classico della filmografia fantascientifica e riconosciuto capolavoro di Ridley Scott, Blade Runner si basa su di una trama assai semplice. Rick Deckart, impersonato da Harrison Ford, è un ex-poliziotto cacciatore di teste richiamato in servizio per “ritirare” quattro androidi fuggiti da Extra Mondo, dove i replicanti, fabbricati sulla Terra dalla Tyrell Corporation, attendono ai compiti più disparati onde facilitare l’esistenza dei coloni. Questi androidi, veri prodigi della tecnologia, sono assolutamente indistinguibili dagli umani, essendo macchine organiche e non complessi di circuiti e transistor (niente di simile a Super Vicky, per intenderci). Tanta è la perfezione raggiunta dagli androidi modello Nexus-6, che in loro si è accesa la miccia dell’insubordinazione e del rigetto della loro natura artificiale, in particolar modo rappresentata da un dispositivo che fornisce loro una vita di soli 4 anni e che ne impedisce l’evoluzione empatica.
Guidati da Roy Baty e lasciata una scia di sangue su Extra Mondo, un gruppo di sei androidi raggiunge la Terra, ma è ridotto a quattro unità dal cacciatore di taglie Holden, che ne elimina due prima di farsi a sua volta ferire gravemente dal replicante Leon durante la somministrazione del test Voigt-Kampf, l’unico strumento che permetta di distinguere un androide da un umano (è questa la prima scena del film). Il test si basa su domande aventi lo scopo di scatenare una reazione empatica nell’intervistato e misurarla tramite un’apposita strumentazione. La caccia all’uomo - meglio sarebbe dire all’androide - è l’essenza del film, a cui non manca il tema amoroso della relazione tra Rick Deckart e l’androide Rachel. Ignara di possedere una memoria innestata di falsi ricordi, Rachel prende consapevolezza della sua vera natura solo dopo essersi imbattuta in Rick Deckart e nel suo test Voight-Kampf.

Il "cattivo" Roy Baty
Il senso del film può essere benissimo racchiuso in questa domanda: cos’è la vita? di quale dignità e riconoscimento hanno diritto coloro che sono senz’altro esseri viventi, ma in modo diverso dagli altri? 
Sia Roy Baty che Rachel cercano le risposta, ma si danno risposte differenti. Roy Baty vuole l’eliminazione del dispositivo che limita la vita degli androidi a soli quattro anni ed è disposto ad ingaggiare guerra con gli uomini e ad ucciderli per raggiungere il suo tanto agognato scopo, benché questo atteggiamento lo metta inevitabilmente fuori dalla società e dalle sue leggi. Roy Baty, in fondo, gioca il ruolo del cattivo che è tale solo perché è stato prodotto dalla stessa società, in quanto i suoi omicidi non sono dovuti al mero gusto di uccidere - come usano fare alcuni uomini e gli stessi cacciatori di teste - quanto all'assenza voluta dai suoi creatori dell'empatia, caratteristica costitutiva dei replicanti, e alla sua disperata ricerca, qualità invece tipicamente umana, della propria conservazione e di una vita dignitosa e vera. Rachel, diversamente, è un personaggio che nelle prime battute del film si presenta come “duro”, ma che, una volta compreso di non essere umana, si scopre alla ricerca di un’identità: è dilaniata dal pensiero di essere una macchina a tempo, ma al contempo è tenera, dolce e amante passionale (grazie all’amore di Rick Deckart avrà salva la vita).

Rick Deckart con lo strumento per misurare le reazioni empatiche
Ridotto in termini essenziali Blade Runner è tutto qui. Nessuna complicazione legata a complotti governativi, servizi segreti deviati, spionaggio, polizia e burocrazia totalitarie, controllo delle menti e del linguaggio. Nessun mostruoso extraterrestre a minacciare il pianeta. Solo un’ambientazione noir, riprese al buio, una finta pioggia, macchine volanti e gli scenari di una Los Angeles del futuro, a coprire lo sfondo di una colonna sonora prevalentemente elettronica e fondamentale per il successo del film a cura di Vangelis. Ciò nonostante (o forse proprio per questa ragione), il film è un cult del genere fantascientifico.
La sceneggiatura del film ebbe una complessa gestazione, dovuta alla obbiettiva difficoltà di trasporre in versione cinematografica il romanzo Ma gli androidi sognano pecore elettriche? di Philip K. Dick, maestro della fantascienza distopica. Di fatto, il film è solo vagamente ispirato al romanzo di Philip Dick (a cui la produzione richiese comunque un parere), tanto che può e deve affermarsi che film e romanzo sono due cose a sé stanti. Il film, tuttavia, mantiene inalterato il senso del romanzo da cui è tratto.

Rachel. Nel romanzo è un androide creato per servire gli interessi della Rosen Associated (nel film Tyrell Corporation) mediante lavori di tipo sessuale
Le vicende del romanzo trovano luogo in una S.Francisco distrutta dall’ultima guerra atomica (elemento che ricorre nei romanzi di Dick), la quale ha lasciato in eredità una polvere radioattiva che ha reso la Terra sempre più inabitabile e i terrestri soggetti a mutazioni genetico-mentali peggiorative. Buona parte dell’umanità è dunque emigrata su Marte, un pianeta peraltro inospitale, dove dipende in tutto e per tutto dal lavoro degli androidi. Gli uomini rimasti sulla Terra sono distinti in comuni e speciali. Questi ultimi sono anche detti “cervelli di gallina” per la loro genetica o sopravvenuta mancanza della necessaria intelligenza ed è loro proibito emigrare su Marte per non danneggiare il patrimonio genetico della nuova umanità in cerca di una nuova terra abitabile. Gli uomini comuni rimasti sulla Terra sono cronicamente depressi e usano collegarsi ad una macchinetta regolabile che incide sugli stati umorali delle persone (la moglie di Deckart, per esempio, ama regolarla su livelli profondamente depressivi). Tra questa umanità si è però diffuso uno strano fenomeno di massa, quasi una religione: il Mercerianesimo. 
Il Mercerianesimo si basa su di un’esperienza collettiva che si realizza mediante la fusione con Mercer grazie ad un apposito congegno. Mercer non è presentato come un dio, ma è al centro di una planetaria diatriba tra chi ne riconosce l’essenza divina e chi lo considera una truffa. È un mistero a cui si può o meno credere, benché alla fine del romanzo, seppur denunciato come un truffatore, si manifesti tanto a J.R. Isidore (nel film J.R. Sebastian) quanto a Rick Deckart, aiutando entrambi a superare un momento di grande pesantezza esistenziale.

Il mondo avveniristico di Blade Runner
Mercer è sempre rappresentato come un uomo che in compagnia di un asino e di un rospo percorre faticosamente un’erta, continuamente fatto oggetto del lancio di piccole pietre appuntite da chissà chi. Mercer ripete ogni giorno questa esperienza misteriosa, di cui tutti, tranne gli androidi, provano la sofferenza. Gli androidi, infatti, non provano empatia. E' sempre nel nome dell'empatia che contravverrebbero ai precetti del mercerianesimo coloro che non possedessero un animale, i quali sono tutti più o meno in via d’estinzione, e che per ragioni di rispettabilità sociale è bene siano eventualmente sostituiti da perfette riproduzioni robotiche nel caso non ci si possa permettere un animale vero. 
Philip K.Dick e la copertina di una delle edizioni di Do androids dream of electric sheep?
Al di là delle tante differenze tra il film ed il romanzo che trovo inutile stigmatizzare, sono gli aspetti filosofici trattati nel romanzo ad essere completamente ignorati dalla sceneggiatura del film. Ciò è probabilmente dovuto alle obiettive difficoltà di rappresentare la complessità delle trame partorite dalla mente di Dick e al fatto che il mercerianesimo è inscindibilmente legato alla decadenza fisica e strutturale della civiltà umana, decadenza che invero non si intravede - o si intravede solo marginalmente - nell'ambientazione scelta da Ridley Scott. L'umanità del romanzo è senz'altro molto evoluta sul piano tecnologico, ma è autrice della propria distruzione e non sembra avere molte possibilità di radicarsi sulle colonie sparse nello spazio. 
In questo quadro Mercer rappresenta la speranza, forse illusoria, e l’accettazione della realtà e di tutte le sue diverse manifestazioni, come gli speciali e gli androidi, questi ultimi desiderosi di possedere le facoltà sensitive dell'uomo e tuttavia capaci di crimini disumani. Cos’è l’empatia, infatti, se non la capacità di provare i sentimenti degli altri, condividere i propri sentimenti con gli altri e sentirsi uguali agli altri e membri di una stessa sola unità? 
In una società come la nostra sempre più individualista e materialista, ecco che il messaggio di Philip K. Dick, lanciato nel cuore della guerra fredda e sotto la costante minaccia dell'annientamento per mano di una guerra atomica, ci raggiunge e, purtroppo, ci supera per viaggiare chissà per quanto tempo ancora.

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